domenica 2 settembre 2018

FARE POLITICA A SCUOLA

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 "Fare politica a scuola non vuol dire spingere i ragazzi a pensarla come te: vuol dire spingerli a pensare"
Riporto il testo di una lettera
aperta, apparsa su Il libraio
qualche giorno fa, del prof.
Galiano, che già abbiamo
conosciuto con The school
is cool; condivido pienamente
le sue parole e mi auguro
che la "politica" possa essere
sempre più una fedele alleata della
scuola nel preparare quel futuro
che tutti sogniamo.


Caro Ministro dell’Interno Matteo 
Salvini, ho letto in un tweet da Lei 
pubblicato questa frase: “Per fortuna 
che gli insegnanti che fanno politica 
in classe sono sempre meno, avanti 
futuro!”.
Bene, allora, visto che fra pochi giorni 
ricominceranno le scuole, e visto che 
sono un insegnante, Le vorrei dedicare 
poche semplici parole, sperando abbia 
il tempo e la voglia di leggerle. 
Partendo da quelle più importanti: 
io faccio e farò sempre politica in classe
Il punto è che la politica che faccio e che
farò non è quella delle tifoserie, dello 
schierarsi da una qualche parte e 
cercare di portare i ragazzi a pensarla 
come te a tutti i costi
Non è così che funziona la vera politica
La politica che faccio e che farò è quella 
nella sua accezione più alta: come vivere 
bene in comunità, come diventare buoni 
cittadini, come costruire insieme una polis 
forte, bella, sicura, luminosa e illuminata. 
Ha tutto un altro sapore, detta così, vero?
Ecco perché uscire in giardino e leggere i
versi di Giorgio Caproni, di Emily Dickinson,
di David Maria Turoldo è fare politica.  
Spiegare al ragazzo che non deve urlare
più forte e parlare sopra gli altri per
farsi sentire è fare politica
Parlare di stelle cucite sui vestiti, di 
foibe, di gulag e di tutti gli orrori commessi 
nel passato perché i nostri ragazzi abbiano 
sempre gli occhi bene aperti sul presente è 
fare politica.
Fotocopiare (spesso a spese nostre) le 
foto di  Giovanni Falcone, di Malala 
Yousafzai, di Stephen Hawking, di Rocco 
Chinnici e dell’orologio della stazione di 
Bologna fermo alle 10.25 e poi appiccicarle 
ai muri delle nostre classi è fare politica.
Buttare via un intero pomeriggio di 
lezione preparata perché in prima 
pagina sul giornale c’è l’ennesimo 
femminicidio, sedersi in cerchio 
insieme ai ragazzi a cercare di capire 
com’è che in questo Paese le donne 
muoiono così spesso per la violenza 
dei loro compagni e mariti, anche 
quello, soprattutto quello, è fare politica.  
Insegnare a parlare correttamente e con 
un lessico ricco e preciso, affinché i 
pensieri dei ragazzi possano farsi più 
chiari e perché un domani non siano 
succubi di chi con le parole li vuole 
fregare, è fare politica
Accidenti se lo è.
Sì, perché fare politica non vuol dire 
spingere i ragazzi a pensarla come te: 
vuol dire spingerli a pensare. Punto. 
È così che si costruisce una città migliore: 
tirando su cittadini che sanno scegliere 
con la propria testa. Non farlo più non 
significa “avanti futuro”, ma ritorno 
al passato. E il senso più profondo, sia 
della parola scuola che della parola 
politica, è quello di preparare, insieme, 
un futuro migliore.
E in questo senso, soprattutto in questo 
senso, io faccio e farò sempre politica 
in classe.



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