Studiando la storia della Russia
nella prima metà del Novecento,
ci siamo imbattuti nei gulag, orrore
contemporaneo, al pari dei campi
di concentramento nazisti.
A tal proposito ho letto ai miei
alunni una poesia emblematica del
clima brutale che vi si respirava, è
di Osip Mandel'štam:
Togliendomi i mari, la corsa e il volo
e dando al piede l’appoggio di una terra coatta,
che cosa avete ottenuto? Bel calcolo:
non potevate amputarmi le labbra che si muovono.
DENTRO NON MI SPOSTO DI UN CENTIMETRO.
Vi riporto le parole di A. D'Avenia
sul poeta: "Quest’uomo, perseguitato
dal regime in quanto scrittore e
mandato per questo in un campo di
lavoro dove trovò la morte, compose
poesie a voce. Non aveva nulla per
scrivere. Sua moglie e i suoi amici
le imparavano a memoria e dopo
la sua morte, avvenuta non si sa
esattamente dove, le hanno pubblicate.
E' significativo ascoltare il grido muto,
l’aria rubata, di un uomo che, in mezzo
alla neve siberiana e all'assurdo
lavoro della prigionia, era libero.
Componeva. Gli era rimasto solo
questo: la sua anima libera, che
libera anche noi con le sue parole,
lui che era stato più prigioniero di
tutti. E in un verso dice: “dentro
non mi sposto di un centimetro”.
Come vorrei, chiedere questo per
me. Pioggia o sole, stanco o forte,
sano o malato, solo o in compagnia,
libero o prigioniero, che io, dentro,
non mi sposti di un centimetro.
***
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