Gli ultimi sopravvissuti ci lasciano,
le loro parole lottano contro il velo degli
anni e la paura della dimenticanza;
dopo una vita consumata nel ricordo,
Edith Bruck ci descrive, con i suoi versi
annichiliti, la lucida follia di chi, sono certa,
ha dovuto convivere con le tante colpe
commesse.
Arrivo
Il grembo del sistema di colpo ha partorito
gemelli a milioni.
Le sue ruote gonfie di odio e di obbedienza
urlano ordini.
Sbucano dalle nebbie e le palandrane grige
come impazzite si spostano in continuazione
ci colpiscono alla cieca rompendo la fila
guadagnata con pugni e calci e colpi di fucile.
Le orecchie sono sorde, le parole
le inghiotte il vento
che dalle fabbriche di morte
porta odore di carne bruciacchiata e cenere
sulle nostre teste calve di colpe non commesse.
Ora vi consiglio di vedere questo cortometraggio
del 1997 di Ettore Scola, (non è lento ragazzi,
credetemi!) è attualissimo, il finale vi sorprenderà;
eccovi il link, purtroppo non me lo carica:
https://www.youtube.com/watch?v=ks8gqngvF_A
In un angolo del campo di concentramento,
a un passo da dove si innalzavano gli infami
forni crematori, nella ruvida superficie di
una pietra, qualcuno, chi?, aveva inciso
con l’aiuto di un coltello forse, o di un chiodo,
la più drammatica delle proteste: “Io sono
stato qui e nessuno racconterà la mia storia”.
Luis Sepulveda
Domani mattina, al risveglio, dedichiamo un
minuto del nostro tempo al "ricordo", glielo
dobbiamo...
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